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Autonomia differenziata, Vinci (Vinci &Partners): uno strumento di efficienza per enti territoriali e PA


Il commento e l’analisi del Cassazionista Avv. Claudio Vinci, all’indomani dalla sua approvazione


Per comprendere sino in fondo il testo di legge, composto da 11 articoli, è necessario inquadrarlo nella cornice della nostra Costituzione, di cui costituisce attuazione. L’articolo 117 della Costituzione stabilisce che lo Stato, e quindi il governo centrale, ha il potere esclusivo di legiferare – ossia di fare le leggi – su 16 materie, dalla politica estera all’immigrazione. Il potere di fare leggi su altre 20 materie è invece definito "concorrente" dalla Costituzione. Tra le materie di competenza "concorrente" ci sono la tutela della salute, la valorizzazione dei beni culturali e la protezione civile. L’articolo 117 aggiunge poi che alle regioni spetta il potere di fare le leggi su tutte quelle materie che non sono di competenza "espressamente riservata" allo Stato. La Costituzione dà la possibilità alle singole regioni di modificare i propri rapporti con lo Stato.


Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, infatti, stabilisce che le regioni possono chiedere di avere "condizioni particolari di autonomia" nella gestione delle 20 materie su cui può legiferare insieme allo Stato, e nella gestione di altre tre materie tra quelle che sono di competenza esclusiva dello Stato (l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). La concessione di maggiore autonomia delle regioni che ne fanno richiesta può avvenire solo con una legge dello Stato, approvata a maggioranza assoluta dal Parlamento (ossia dalla metà più uno dei parlamentari), sulla base di un’intesa tra lo Stato e la regione interessata. Questo procedimento deve avvenire poi nel rispetto dell’articolo 119, che impegna lo Stato a rimuovere le disuguaglianze territoriali.


E’ doveroso precisare che queste regole non sono state stabilite dalla nuova legge approvata il 19 giugno dalla Camera, che non ha modificato in nessun punto la Costituzione. Quest’ultima, nella parte relativa ai rapporti tra lo Stato e le regioni, è stata modificata dal Parlamento oltre vent’anni fa, a marzo 2001.


La nuova legge definisce (art. 1) i "principi generali" da seguire per assegnare maggiore autonomia alle regioni che ne fanno richiesta, nel rispetto del già citato articolo 116 della Costituzione. In più, fissa la procedura con cui dovranno essere approvate le eventuali intese tra lo Stato e le regioni che vogliono più autonomia su alcune materie. Il comma 2 dell’articolo 1 del disegno di legge approvato dal Parlamento specifica che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo dopo che siano stati determinati i cosiddetti "livelli essenziali delle prestazioni", un’espressione spesso abbreviata con la sigla "LEP". Tra i LEP, spiega la Costituzione, rientrano tutti quei "diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".


In parole semplici, dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i LEP comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole. La nuova legge sull’autonomia differenziata approvata dalla Camera stabilisce (art. 4) che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia se non ci siano maggiori costi a carico dello Stato. Se invece questi costi ci sono, la concessione di maggiore autonomia può avvenire solo dopo l’entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le risorse economiche necessarie a far fronte ai maggiori costi. Ora che la nuova legge sull’autonomia differenziata è stata approvata definitivamente, non significa automaticamente che le regioni che lo vorranno avranno subito maggiori poteri nella gestione di materie a loro piacimento. Come abbiamo anticipato, la Costituzione prevede che le regioni che vogliono più autonomia devono trovare un’intesa con lo Stato.


E la legge approvata dal Parlamento stabilisce (art. 2) appunto il procedimento da seguire per approvare queste intese. Come prima cosa, le regioni a statuto ordinario che vogliono più autonomia devono deliberare la richiesta da presentare al governo centrale. In seguito questa richiesta deve essere presentata al presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, che ha il compito di avviare le trattative con le singole regioni. Il negoziato inizia al più tardi dopo due mesi e dopo che i ministeri competenti nelle materie su cui è richiesta maggiore autonomia hanno espresso le loro valutazioni.


La nuova legge sull’autonomia differenziata ha previsto poi alcune forme di controllo per valutare gli effetti dell’intesa a livello economico. Sarà creata (art. 5) una "Commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali", che avrà il compito di fare proposte su come individuare i beni e le risorse umane e finanziarie necessarie per esercitare, da parte della regione, le nuove forme di autonomia concessagli dallo Stato. Ogni anno questa commissione dovrà monitorare (art. 8) gli oneri finanziari che sono derivati dall’intesa tra lo Stato e la singola regione, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e garantendo l’equilibrio di bilancio. Anche la Corte dei Conti avrà un ruolo di monitoraggio: ogni anno dovrà riferire in Parlamento sui risultati dei suoi controlli a livello finanziario.


Dalla breve analisi della legge emerge che complesso e lungo è il procedimento per concedere maggiore autonomia alle regioni. Inoltre l’autonomia non potrà comportare maggiori oneri finanziari per lo Stato. Difficile esprimere una valutazione sui possibili vantaggi della legge. Certamente l’autonomia è di per sé uno strumento per rendere più efficace ed efficiente l’azione degli enti territoriali e l’azione della P.A. a vantaggio dei cittadini. Tutto dipenderà chiaramente dalla sua applicazione concreta.



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